Caos logico


Licenziamenti, lotte, scioperi, blocchi e lavoratori sul tetto, fumogeni e cortei, sindacati rossi, arancioni e gialli, controparti che scompaiono, si moltiplicano, si spezzettano. L’ennesima dura vertenza nel mondo della logistica si è consumata all’Interporto di Padova in una situazione di caos e reciproche accuse. Caos in cui si consumava in futuro di otto famiglie.

Il contesto: la solita cooperativa che gestisce un magazzino per conto di un colosso della grande distribuzione (Ellemme per Pam) all’interno degli ex magazzini generali, confluiti poi in Interporto, di corso Stati Uniti. Difficile ricostruire cosa sia successo esattamente dentro il magazzino. Si possono immaginare (senza un eccessivo sforzo di fantasia) gli orari assurdi, i turni massacranti, le richieste di produttività sempre maggiori, ma anche un clima che con i colleghi non è sempre idilliaco. Perchè quando la tua pelle è un po’ più scura te lo fanno notare anche sul posto di lavoro.

Così magari qualcuno mette in piedi una sorta di auto difesa per riuscire a tirare avanti (permessi, malattie, infortuni). E magari tira un po’ troppo la corda.

Fin qui le ipotesi.

Poi arrivano le sanzioni disciplinari e il licenziamento: per lavorare in una coop “bisogna” essere soci e i soci devono “meritarselo”. Quindi chi non viene considerato “degno” viene escluso dalla qualifica di socio. E quindi licenziato.

Quando arriva la prima lettera di esclusione da socio e di licenziamento il sindacato di base, Adl Cobas, che da anni sostiene le lotte della logistica a Padova come fanno delle sigle simili in altri poli, si attiva. Megafoni, slogan, striscioni ma anche presidi, scioperi e infine anche blocchi.

In occasione dello sciopero nazionale dei sindacati di base davanti ai cancelli di Interporto la tensione cresce. Non sono i primi rallentamenti, che sfociano spesso in blocchi, e chi arriva sa già cosa aspettarsi, ma questo non calma gli animi. Anzi.

Qualcuno tenta di forzare il blocco, alza la voce, la risposta è a tono e le forze dell’ordine intervengono per evitare che la tensione possa sfociare in qualcosa di diverso. Per le aziende (anche quelle non coinvolte direttamente nella vicenda) è l’episodio decisivo, che scatena le “armi pesanti”.

La prima si chiama sindacato. Cgil, in versione se non “gialla” per lo meno “arancione”. La prima presa di posizione contro i blocchi e gli scioperi infatti non arriva dalla parte datoriale, dai “paroni”, ma dal sindacato. La Cgil mobilita infatti alcuni lavoratori e prende posizione, con un ritornello che non è nuovo: «Giusto scioperare, ma bisogna garantire la continuità del lavoro». Le aziende quindi, con la minaccia di spostare i cantieri, possono mettere freno a qualsiasi conflittualità.

Per tutta risposta alcuni lavoratori arrivano a salire sul tetto di Interporto.

A questo punto prendono posizione anche le aziende, ma a parlare non sono tanto i rappresentanti della cooperativa al centro della vertenza, quanto il committente e lo stesso Interporto. Anche altre aziende che lavorano nel sito, che si dicono danneggiate dai blocchi, alzano la voce.

E arriva anche una richiesta di risarcimento danni.

Alla fine la questione finisce di fronte al Prefetto, che impone un tavolo. Appena inizia la discussione tutte le parti (compresa la Cgil nell’inedito ruolo di mediatore tra sindacalisti e imprenditori) se ne prendono il merito. Tra benefici di fuoruscita, riassunzioni condizionate e qualche vaga promessa la protesta rientra.

Tutti soddisfatti, a parole, anche se a mezza bocca qualcuno, da parte datoriale, ammette che la soluzione trovata non è l’ideale.

Per i lavoratori prima licenziati e poi riassunti resta il fatto che la solidarietà dei colleghi ha fatto tornare indietro un’azienda che aveva compiuto scelte drastiche.

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