Una Babele di Parole


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Babele a Nord Est o Fiera delle Parole? Bruna Coscia o Vittorio Sgarbi? La discussione sulla cultura a Padova sembra ridursi a questa dicotomia. La rassegna culturale emigrata a Montegrotto Terme dopo gli screzi con in sindaco Bitonci dell’organizzatrice, Bruna Coscia, secondo la “sinistra” cittadina aveva numeri che quella del critico/polemista non ha. Ma basta questo per dare un giudizio?

In realtà a entrambi gli schieramenti sembra sfuggire il fatto che il valore di una rassegna che vuole dirsi culturale non si può misurare con il semplice metro delle presenze. Quello che dovrebbe fare la differenza è la qualità della proposta, l’interesse degli incontri, il “valore” degli ospiti presenti. Una rassegna che mette assieme una serie di spot pubblicitari di “autori” che si possono “incontrare” ogni giorno in televisione non può certo definire il livello della proposta culturale di una città che si vanta di essere “di gran dottori”.

D’altra parte se gli scrittori che contano sono quelli che occupano i salotti televisivi gli strumenti per valutare un’iniziativa risultato per forza di cosa essere limitati. Fare la fila per prendere parte a una serata in cui si cercherà di far vendere qualche copia in più di un libro di un grande editore sembra essere il concetto di “evento culturale” sostenuto da chi oggi critica la coppia Bitonci-Sgarbi.

Non che Babele abbia offerto un concetto diverso. Lo spunto, geniale, del curatore Vittorio Sgarbi (invitare a Padova il più importante intellettuale italiano, il secondo professore più noto del Bo dopo Galilelo Galilei) non è stato raccolto da Bitonci, che non si è sentito in grado di essere più “liberal” di chi l’ha preceduto invitando Toni Negri.

Toni Negri che per presentare nella sua città la sua autobiografia è andato in un cinema di periferia. Perchè la cultura a Padova vive solo nei circuiti off: Valerio Evangelisti ad Altragricoltura, i Wu Ming al Bios Lab, Giuseppe Genna a Chinatown, Zerocalcare in piazzetta Gasparotto.

Il rilancio della cultura a Padova non passa dagli investimenti a sei cifre dell’amministrazione, dal favore a questo o a quel curatore, ma dalla vitalità (oggettivamente in calo) di chi sta fuori.

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